Occhi Neri

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Il cielo si oscurò, ma tornò subito sereno. Per un solo attimo, poi ricadde nell’oscurità.

Silvia strinse forte il corrimano. Non vedeva nulla. La finestrella da cui stava osservando il cielo non esisteva più.
C’era solo nero.
Le mancavano circa dieci gradini per arrivare davanti alla porta del suo appartamento, ma non mosse un passo. I muscoli si irrigidirono e le dita stritolarono il bel corrimano di legno chiaro, che, però, non riusciva più a distinguere.
Nero era il paesaggio esterno, nera era la finestra, nero era il muro, neri erano i gradini.
L’altra mano, tremando, andò lentamente verso gli occhi. L’indice controllò con tocco leggero se le palpebre fossero ancora aperte. Sfiorò appena le ciglia: quel delicato gesto spalancò l’occhio sinistro, ma la visione di Silvia non cambiò.
Nero.
Deglutì.
Voleva muoversi, poteva farcela, ero solo un gradino. Un gradino! Nei suoi trent’anni di vita ne aveva di esperienza in fatto di scalini! Odiava gli ascensori.
Eppure non si mosse.
Si schiarì la voce, girò la testa con gli occhi fissi nel nulla. Strinse ancora di più il corrimano, vi si appoggiò con entrambe le mani, con tutto il suo peso. Schiacciò il fianco contro il metallo della ringhiera, che sentì fredda sul leggero tessuto dei pantaloni. Un sollievo quella sensazione, dopo la terribile vertigine che aveva provato.
Inspirò.
Espirò.
Finalmente chiuse gli occhi, si staccò dal corrimano, solo la mano destra tenne salda la presa, e stringendo le labbra, alzò la gamba così rigida che quasi le faceva male.
Primo gradino fatto.
Rilassò le labbra e anche la presa delle dita. Continuò con più fiducia. La punta della ballerina batté appena sul bordo dell’ultimo gradino di marmo, sulle labbra di Silvia di formò una smorfia. Troppa fiducia.
Era in cima.
Nel petto le premeva il cuore, batteva forte, sempre più forte. Sentì le lacrime agli occhi. Doveva cercare la porta del suo appartamento.
La mano destra non si era ancora staccata dal corrimano, non poteva farcela.
Aveva paura.
Non erano quei passi nel buio a terrorizzarla, se si fosse trovata di notte, nel nero improvviso, non si sarebbe nemmeno fermata. Avrebbe continuato a camminare sicura, anche senza vedere granché. Abitava in quel condominio da cinque anni, da quando aveva trovato lavoro a Mestre, ben lontana dal suo paesino nella Valle Padana. Lo conosceva benissimo, era casa sua.
Il nero, però, il nero totale che la circondava la paralizzava.
Sapeva che la vista era a rischio, sapeva che poteva accadere, ma non se l’aspettava in modo così improvviso. Nel mezzo di un semplice momento della sua quotidianità. Aveva sempre creduto che se doveva proprio succedere, sarebbe accaduto in modo meno repentino: vista appannata, qualche dolore, contorni sempre più sfocati… Graduale. Invece niente, così, all’improvviso.
Non se lo aspettava così.
Pianse.
Una mano aggrappata al corrimano, una schiacciata sul viso.
Non aveva pensieri concreti, la mente divagava sul futuro, sui suoi occhi, sul suo tumore.
Era tutto nero.
Tirò su rumorosamente con il naso.
A quel punto si rese conto che non poteva rimanere sul pianerottolo a piangere, non poteva rimanere per sempre su quel pianerottolo.
Doveva farsi coraggio.
Doveva avanzare.
Un fazzoletto. Le serviva un fazzoletto. Un pensiero concreto che l’avrebbe sciolta dalla sua paralisi.
Con qualche titubanza lasciò la presa dal corrimano, si slanciò sulla destra alla ricerca del muro. Lo toccò dopo appena un passo.
I polpastrelli si spostavano sulla superficie ruvida, fino a quando non furono fermate dallo stipite, ma quella non era la sua porta, lo sapeva. Lì abitavano Stefano, Liliana e figlia… era quasi tentata di cercare il campanello e suonare, desiderava il sostegno di un essere umano!
L’orgoglio le impedì di andare oltre quel pensiero.
Proseguì, il suo appartamento era il successivo. Porta liscia, muro ruvido e poi tap, il suo stipite. Con entrambe le mani cercò la serratura, poi andò a prendere con la destra le chiavi che teneva in borsa. Per fortuna le teneva sempre nella taschina esterna, le trovò velocemente.
Azzeccare la chiave e poi la toppa fu invece un’impresa. Tastò con la punta delle dita tutta la zona che le sembrava all’altezza giusta. Alla fine sentì la sporgenza, quando, ecco, di nuovo la schifosa goccia che scendeva dal naso: inspirò forte, con quel rumore che odiava. Colava, colava troppo, ma il pacchetto di fazzoletti di carta in borsa era finito: doveva proprio entrare in casa.
Dopo vari tentativi, sbuffi e altre lacrime, riuscì ad aprire la porta.
La spalancò con liberazione, ma il sorrisetto di soddisfazione le si spense all’istante.
Non era cambiato nulla.
Era ancora tutto nero.
Non se n’era resa conto, ma credeva che entrare nel suo appartamento avrebbe cambiato le cose. Avrebbe dato luce alle cose.
Tremando, chiuse la porta dietro di sé.
Vi appoggiò la schiena e scivolò a terra.
Si prese il viso tra le mani e pianse di nuovo.
Si soffiò il naso sul bordo della maglietta. Tanto non avrebbe visto la macchia e non le importava più di nulla: ormai tutto era solo nero.

 

Monica Spigariol

Informazioni su Scrittori in Corso

Collettivo di scrittura e laboratorio di stile di scrittura creativa. Dal Marzo 2015 si promuove come ritrovo per autori emergenti e non, con lo scopo di migliorare la fruibilità delle produzioni letterarie contemporanee in un contesto di social media. Non costituisce una testata giornalistica ai sensi della legge n. 62 del 7-3-2001.
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