Il distintivo

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E così tornai dove tutto era cominciato. Anche se in cuor mio sapevo che l’epilogo non sarebbe cambiato.

Quella volta il pilota mi salutò dal piccolo finestrino, dopo avere chiuso il portellone stagno e decollò. Ero l’ultimo della pattuglia, mi voltai e mi incamminai seguendo i quattro uomini
Quanto tempo era trascorso? Allora sulla tuta portavo il simbolo che terrorizzava i nemici, l’immagine si notava come fuoco nel buio.
Ero stato forgiato in pochi mesi: il cervello saturo di regole, gli arti allenati, il cuore ghiacciato.
L’arma letale che ne impugnava una altrettanto micidiale.
– Tocca a te, novellino. Io torno a casa tra un mese e ci tengo al mio culo, tu invece non hai certi problemi.
La frase del sergente non lasciava spazio a repliche. Nessuna intenzione di beccarsi un colpo ed esplodere come uno pneumatico.
– Entro, copritemi!
Parole da manuale per reclute, gracchiate dalla trasmittente nel casco. Il controllo sul visore delle regole di ingaggio, il check dell’arma e via!
L’esplorazione stanza dopo stanza, la torcia sul casco a fendere il buio. Per ultimo il locale ristoro: c’erano stoviglie sul pavimento miste a piatti rotti, cibo sparso dappertutto. Sul tavolo altri resti, gli abiti del comandante e di tre uomini. All’interno residui di tre vite, ossa polverose, crani dalle orbite scure.
– Come va là dentro, novellino?
Ancora la voce del maschio alfa, stanco di quel ruolo.
– I conti non tornano, manca una unità.
La messinscena avrebbe potuto ingannare un soldato che si fosse limitato a dare una rapida occhiata dalla soglia. Non il sottoscritto, ligio nelle verifiche dei protocolli e delle regole. I passaggi che scorrono nel visore, implacabili. I secondi si consumano.
– Entriamo, guardaci le spalle.
Il maschio dominante si fa sentire, impaziente. Non va bene. Le regole…
Lampi improvvisi e ripetuti, silenziosi quanto letali. Dall’alto, dalla grata della ventilazione.
– No-o… Bas-tardo!
– …
– Eghhhh…!
– …gh.
Gli squarci delle tute sul pianeta rosso significano morte, nessun appello. L’unico che riuscì a sillabare tre parole fu il sergente, davvero notevole.
Alzai le braccia in segno di resa, lentamente, l’arma disattivata.
Il puntatore laser stazionava al centro del mio campo visivo, l’avversario attendeva istruzioni. Come il sottoscritto.
– Veniamo a prendervi, esercitazione terminata.
Lui scese e mi raggiunse, lo sguardo freddo quanto il mio. Stesso distintivo. Aveva superato l’esame senza problemi, molte missioni alle spalle. Mi oltrepassò e si diresse verso la navetta, io lo seguii muto.

È trascorso un anno, addestramento duro e senza sconti, fra gli sguardi sprezzanti dei soldati. Mi odiavano, quelle fatiche che avevano dovuto sopportare erano già molto probanti per loro, ma il simbolo sulla mia tuta era troppo. E non l’avevo onorato, quattro morti tra di loro lo certificavano.
Eccomi qui, ancora, la navetta che va e quattro uomini al seguito. Oggi guido il drappello, cambio di strategia: in un anno ti insegnano tante cose, i dati sul cursore viaggiano veloci, nessuna sosta per le verifiche, arma attivata. Zero esitazioni, ho un distintivo da onorare sulla tuta. Nessuna macchia da pulire.
Ci dividiamo, i quattro soldati verso l’ingresso principale, io verso il tunnel dei rifornimenti. Non è presidiato, lo apro craccando i codici, entro e accelero il passo: non corro, troppo rumore. Raggiungo il deposito, ovviamente non incontro resistenza, salgo i gradini e penetro nei locali diurni della base. Deserti, come previsto. Come programmato.
Varco la soglia dello stanza del comandante, disattivo l’ arma primaria. Slaccio la cintura, la abbandono sul pavimento. Poi mi siedo alla scrivania e attendo, nessuna fretta.
– Dove sono finiti?
– Zero contatti, sergente.
– Qui è libero.
– Da me vuoto assoluto.
Si sono divisi i locali da esplorare, una buona idea: in caso di agguato uno muore, gli altri reagiscono. Quella volta eravamo in gruppo, un bersaglio troppo facile.
– E tu dove sei, mezzo uomo? Fatti sentire.
Il maschio alfa di turno che odia il mio distintivo, tutto secondo le regole. Quelle cui loro credono di non obbedire. Quelle che io seguo alla lettera.
– Ufficio del comandante.
Entrano insieme, mi vedono, scrutano la stanza, abbassano le armi.
– Missione compiuta. – dico.
Non attendo la loro reazione, dalla cintura partono i proiettili. Precisi, letali. Pochi attimi, qualche rantolo, questa volta nemmeno una sillaba.
– Obiettivo raggiunto, venite a prendermi.
Il sergente aveva torto, non sono neanche un mezzo uomo. Ho solo il cervello, il resto è materiale sintetico di prim’ordine.
Assemblato secondo le regole, indicato dal distintivo.

Marco Moretti

Informazioni su Scrittori in Corso

Collettivo di scrittura e laboratorio di stile di scrittura creativa. Dal Marzo 2015 si promuove come ritrovo per autori emergenti e non, con lo scopo di migliorare la fruibilità delle produzioni letterarie contemporanee in un contesto di social media. Non costituisce una testata giornalistica ai sensi della legge n. 62 del 7-3-2001.
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